Poeti e Poesie:
Av salut bräva genta!
di Renzo Pezzani
Il malinconico testamento spirituale di Pezzani.
La poesia è quella che conclude Oc luster, l'ultima sua raccolta in dialetto.
Fu stampata anche in una edizione limitata molto curata il 31 ottobre del 1950: Pezzani si spense il 14 luglio 1951.
Renzo Pezzani, Oc luster, Nuova biblioteca del Consolato Parmense,
31 ottobre 1950, Officine Grafiche Lorenzo Rattero, Torino
In questa edizione a tiratura limitata, 200 copie
illustrate da Latino Barilli, parmigiano,
compariva questa dedica a:
JACOPO BOCCHIALINI
amico senza ombre
è dedicato questo libro
toccato dalla sua mano
e dal suo cuore.
Av salut bräva genta!
Sta povra Morta l’ à d’aver lansè
pär ciapärem! Son von che int la me vitta
j ò semper cors sora na sträda dritta,
avanti, sensa mäi voltär’m indrè.
Poch o tant, j ò fat quel; e al poch ch’io fat
al n’è propria tutt da butär via.
In meza a sent, la gh’è na poesia
ch’ l’ è piazuda e la piäz ai sävi e ai mat :
quater paroli con la rima giusta
scritti col cor, ste cavalen marman
tutt sanghev, ch’al sentiva za la frusta
un minut primma ch’ la toliss in man.
Av l’oi da dir cm ’s mora? As piga i znoc;
corra genta, al dotor; it port’n a let;
la portera la va a ciamär al pret
ch’al te diz do paroli e al t’ sära j oc.
Ven i parent, is ferm’n insimma a l’uss
e i dizen pian: « Co’ l’era mäi dvintè! »
i firm’n un foj e i scap’n in ponta ’d pè.
It met’n ataca i fior pärchè te spuss.
Gnenta bozii: dzì pur col ch’ v’ è dävis.
J o d’ absogna d’ un po’ ’d sinceritè.
Son vec e ’l mond ormäi a so co’ l’ è:
int al cor tutt i spe’ i m’àn lassè ’n sfriz.
Voi al car di povrett, p’r al me mortori,
e gnenta fior, j en tutt sold butè via.
Dem una man con un’avemaria
ch’a n’ abia da stär trop in Purgatori.
Al testament ch’al faga chi gh’ in lassa:
mi son nassù povrett e mor povrett.
Se rugarì dent’r in ti me cassett,
an catrì gnanca i sold pär fär la cassa.
E ’l pret, chi ’l pagarà? Un po’ sotvoza
fè na coletta, catè su quelen
da chi poch, j eren poch, ch’ m’à volsù ben:
an so gnan mi co pol costär na croza.
Una crozen’na äd fer, da poch centen,
piantäda ben parchè ch’ l’ an se stravaca;
al nom, scritt con un pnel pocè int la biaca,
miga tant gran, ch’il possen lezer ben
al vec ch’a passa e al ven a la Viletta
pär ved’r al sit cmè un mzed’r a san Marten;
al puten ch’an sa gnenta; e la donletta
ch’ la diz un requia e la t’ butta un bazen.
E sotta ’I nom, se ’gh vansa un po’ ’d color,
scrivigh pur do paroli äd compassion:
sarnì do parolen’ni in fonda ’I cor,
do parolen’ni cmè brizi ’d bombon;
ch’a ja ven’na a becär anca j ozlen.
Il passri i la toran p’r una cardensa,
e p’r una briza im lassaran na smensa
e la me tera la sarà un zarden.
Pärchè ’l so za: se il passri in gh’ pensen lor,
povren’ni, chi gh’ àn semper tant da fär,
dopa du dì chi m’gnirà pu a catär?
chi vrà spender du franc pär tor’m un fior?
Poeta nell’arte, poeta nella vita di Giulia Sorgente
Il disegno della sua croce che compare nel libro
La tomba eretta dai parmigiani alla Villetta
Recitata da Giuseppe Spaggiari
Questa versione in italiano è dell’Autore stesso,
che ha ne ha curato anche la stampa.
In fondo al libro fa stampare questo:
AMMONIMENTO
Non incrocio la spada col coltello
nè la mia penna con il grimaldello;
nè a ladruncoli ancor gonfi del mio
contendo il fiore che m’ha dato Iddio.
Vi saluto brava gente!
Questa povera Morte deve aver ansimato
per raggiungermi! Sono uno che nella vita
ho sempre corso una strada dritta,
avanti, senza mai guardarmi indietro.
Poco o tanto, qualcosa ho fatto; e quel poco
non è proprio tutto da buttar via.
In mezzo a cento, c’è una poesia
che è piaciuta e piace ai savi e ai matti:
quattro parole con la rima esatta
scritte con il cuore, questo cavallino maremmano
tutto sangue, che sentiva già la frusta
un minuto prima che la prendessi in mano.
Devo dirvelo come si muore? Si piegano i ginocchi;
corre gente, il medico: ti portano a letto;
la portinaia va a chiamare il prete
che ti dice poche parole e ti chiude gli occhi.
Vengono i parenti, si fermano sulla porta
e dicono piano: « Cosa era mai ridotto! »
firmano un foglio e se ne vanno in punta di piedi.
Ti mettono intorno fiori perché puzzi.
Nessuna ipocrisia: dite pure purfe di me ciò che credete.
Ho di bisogno di sincerità.
Sono vecchio e il mondo ormai so che cos’è:
nel cuore tutti gli spini m’hanno lasciato una cicatrice.
Voglio il carro dei poveri, per il mio funerale,
e niente fiori, è tutto denaro sprecato.
Datemi una mano con un’avemaria
che non abbia a star troppo in Purgatorio.
Il testamento lo faccia chi lascia ricchezze:
io sono nato povero e muoio povero.
Se rovisterete nei miei cassetti,
non troverete neppure il denaro per la bara.
E il prete, chi lo pagherà? Senza strepitare
fate una colletta, raccogliete qualche centesimo
tra quei pochi, erano pochi, che m’han voluto bene:
non so neanch’io cosa può costare una croce.
Una crocetta di ferro, da pochi soldi,
piantata bene perché non si rovesci;
il nome, scritto con un pennello intinto nella biacca,
non tanto grande e tuttavia che possano leggere bene
il vecchio che passa e viene al Camposanto
per vedere la sua terricciuola come un mezzadro a San Martino:
il bambino che non sa cosa sia la morte; e la donnetta
che dice un requiem e ti butta un bacio.
E sotto il nome, se avanza un po’ di colore,
scrivete pure poche parole di compianto:
scegliete le parole nel fondo del cuore,
parole come briciole dolci;
che gli uccelli vengano a beccarle.
I passeri scambieranno così il mio tumulo per una madia,
e in cambio di una briciola lasceranno cadere una semente
e la mia zolla diventerà un giardino.
Perché lo so già: se i passeri ci pensano loro,
poverini, che pure han sempre tanto da fare,
dopo due giorni chi verrà più a trovarmi?
chi vorrà spendere due lire per comprarmi un fiore?