Voci dalla provincia: Roccabianca, Detti proverbiali e modi di dire, terza parte
L'ironia, l'umorismo e la saggezza della nostra gente. Ma anche acume e un pizzico di cattiveria.
Ricerche di Enzo Gotelli
Detti proverbiali e modi di dire
tratti da La mia meglio gioventù, 2018, e Il linguaggio è l’abito dell’anima, 2020, di Enzo Gotelli, comitato di Roccafiorita.
A cura di Angelo Gil Balocchi
Voci di Barbara Sargenti e Maurizio Landi
Collaborazione tecnica di Roldano Daverio
Terza parte
Al fà di vérs da gāt
Fare come i gatti, tentare ogni espediente.
Fa ssànta e’ssànta
Fare pari e patta, come a briscola.
Fà nà figüra da ciculatéŋ
Fare una grama figura.
Fa da bóŋ fradéi
Fare come buoni fratelli, e cioè fare le parti uguali.
Fa fugóŋ
Marinare la scuola.
Àl fa la gàta mógna
Far la gatta morta.
Àl n’ à fāt pö che Carlo in Francia
Farne di ogni colore, di cotte e di crude. Si riferisce alla vita e alle imprese
di Carlo Magno.
Às’ la fa e ’l s’ la dìś
Detto di chi fa e disfa senza tener conto delle opinioni altrui.
Fāt in cà cmé la fuiàda
Fatto in casa come la sfoglia.
L’ é fòrt cmé ’l tróŋ
È forte come il tuono, quando c’è tempesta.
L’ é giùan cmé l’àcua
È giovane come l’acqua di sorgente.
Gnàŋ pr’ insóni
Nemmeno per sogno. A nessun costo.
Gràm cmé l’ alsìa
Detto di persona poco raccomandabile. La alsìa era il residuo cattivo dopo
il lavaggio caldo della biancheria in ammollo.
Gròs cmé nà cà
Spropositato, evidente. Dicesi, ad esempio, di rigore evidente non dato
dall’arbitro.
L’ é bóŋ cmé i pögn a l’ òrba
È buono come i pugni presi alla cieca, sgradevolissimo.
Lóngh cmé la cuaréśma
Dicesi di persona lenta nel fare le cose. Allude alla Quaresima, che
cominciava con il rito delle ceneri e terminava il Sabato Santo.
Mangià cól ca pàsa al cunvént
Accontentarsi di quello che c’è.
Mangià a dò ganàsi
Sbafare a due mandibole.
Àl gh’ à gnàŋ i’ òcc da cridà
Non ha nemmeno gli occhi per piangere. È proprio un poveretto.
Avìgh gnàŋ al témp ad pisà
Non avere nemmeno il tempo per fare pipì.
Àl càta gnàŋ l’àcua in mār
Essere buono a nulla. Non trova nemmeno l’acqua in mare.
Cullé l’ é cmé un càŋ da trìfula
Quella persona è simile a un cane che cerca e trova i tartufi!
È una persona che sa indagare, che sa cercare e trovare, come il FBI o il KGB.
Ésar gnàŋ méś véŋ àd cuèl
Non essere paragonabile a qualcosa.
An gh’ é né Sànt, né Madóni
Non esserci verso!
Àl fa gnàŋ nà pìga
Non fa nemmeno una piega, non scomporsi.
Guardà in fàcia ansóŋ
Non guardare in faccia a nessuno, essere imparziali.
Négar cmé àn capél da prét
Nero come un cappello da prete.
Àl sà gnàŋ in dù àl stà ad cà
Non sa nemmeno dove sta di casa, è uno stupido.
Savì mìa ad cù fàsan
Non sapere di che farsene.
Àl stà né in ciél né in tèra
Non sta né in cielo né in terra. Cioè da nessuna parte. Dicesi di fatto inverosimile.
Ad ogni mòrt àd Vàscuv
Ad ogni morte di Vescovo. Cioè, assai di rado.
Pagà ins’ l’ óngia
Pagare sull’unghia. Pagare subito e in contanti.
Àl pàr la mòrt imbariàga
Essere pallido come un malato vicino a morire.
La pàr la regina Taitù
Si dice di donna che assume arie da gran dama.
Parlà in pónta ad furséŋa
Parlare in punta di forchetta, in modo forbito.
Paròla tùrna indré
Come non detto.
L’ é pasà cmé nà pépa
Alcolizzato cronico.
At sé un piöcc arfàt
Sei un pidocchio rifatto. Dicesi in senso figurato di persona in breve tempo
arricchitasi, ma volgare dopo il benessere.
Róss cmé un pìt
Rosso come un tacchino.
La sinfonìa adl’ óngia incarnàda
Qualunque tipo di cattiva musica.
Àl spösa cmé n’éndas
Puzza come un uovo andato a male.
Àl spösa àd stréŋ
Puzza di cosa che sta bruciando. Mettersi male.
Stà in pé parché tìra un fìl d’aria
Stare in piedi per miracolo.
L’ é sütìl cmé la carta sücaréŋa
È sottile come la carta da zucchero.
Tacà butóŋ
Conversazione protratta mentre tu vorresti andare!
Similitudine, come attaccare un bottone!.
L’ éra al témp àd Maria Chèca
I tempi di Maria Luigia.
Tirà i s’ ciàf a l’ òrba
Tirare gli schiaffi al buio. Dicesi di persona indisponente.
Tirà indré al cül
Abbandonare un’impresa.
L’ é tirà cmé nà pél d’àŋ tambór
Tirato come la pelle di un tamburo. Avarissimo.
Àl töś la lóŋa pàr nà furmàia
Prende la luna per una forma di formaggio, prendere un grosso abbaglio.
Vàdar vóŋ cmé i s’ciàf a l’ òrba
Detestare qualcuno.
Àl sl’ é vésta bröta cmé cóla a cavāl al fòs sénsa müdànt!
Se l’è vista brutta come quella a cavallo del fosso senza mutande:
scamparla bella anche se si era in una brutta situazione.
Vrì fa càrdar che al Sgnùr l’ é mòrt dàl fràd
Raccontare frottole, notizie false.
Avìgh la pànsa clà brangógna
Avere la pancia in subbuglio.
Chi é déntar l’ é déntar, chi é föra, l’ é föra
Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori.
Come dicevamo da bambini, quando giocavamo a nascondino.
Dàgh àdli stréŋghi
Dagli delle frustate. Esigi rigore e diligenza.
Le stringhe sono i legacci per le scarpe, ma anche cordicelle.
L’ é un pùsa piàŋ
È lento di corpo e di mente.
Và dà vìa al cül
Significato: vattene via, non scocciarmi inutilmente.
Àt sé cmé un dumadùr da póŋghi
Letteralmente: Sei come chi sa addormentare anche le pantegane, i grossi topi da fogna.
I dumadùr da póŋghi erano gli orchestrali che accompagnavano Minóŋ durante la sue
canzoni, a Stagno vicino al Grande Fiume.
Àl càta sö àdli vultàdi
Fa delle grandi svolte. Dicesi di persona che non viene al sodo nei discorsi.
Che fàcia da stüpid
Che faccia da cretino.
Àt sé un ména turóŋ
Meni il can per l’aia.
Vé śò dal’ òpi
Scendi dall’oppio, dall’acero campestre, ovvero: Cala Trinchetto!
Àt sé un gràŋ rügadur
Sei un gran scocciatore stancante!
Dòrmar in cavàsa
Dormire in piedi. La cavezza è una fune o correggia con cui viene legato per la testa
un cavallo, per tenerlo a freno.
L’ à mangià la fóia e pù ànca la bròca
Ha mangiato la foglia e anche i germogli della pianta.
Dicesi di persona che ha capito tutto subito dopo che qualcuno ha tentato di ingannarlo!
Cullé l’ é un laùr da Kaiser
Dicesi di un lavoro duro, ma forse inutile. La derivazione etimologica di Kaiser
trae origine dall’imperatore romano Cesare, come gli zar di Russi.
Gnàŋ s’àd crìd in Cinéś
Nemmeno se piangi in cinese. Netto rifiuto rispetto ad un ordine non gradito!
Mé n’ù vöia ad fà angót!
Non ho voglia di fare niente. Angót deriva da una forma dialettale milanese e bergamasca.
Ma la cosa strana è che abbiamo recepito dal dialetto milanese e bergamasco: Na gót.
In dialetto parmigiano di città angót non esiste.
Cù gh’ èt da sbadacià?
Cos’hai da sbadigliare?.
Dìo tà strabanadésa té e ’l Signùr
Dio ti strabenedica, te e il Signore!. Invocazione benevola.
Àt sé propria ciók
Sei proprio ubriaco.
Gniént fàt sö in nà càrta
Niente, fatto su in una carta. Per niente, per nulla.
L’ é léff
È un golosone.
Al guàrda ins’ l’ òpi
Letteralmente: Guarda sull’oppio. Nel suo vero senso però, con la tipica cattiveria
canzonatoria del dialetto, la frase indica una persona strabica.
S’ àt siguét a rügàt in dal nàś, at gnarà al nàś ad Bramóŋ
“Se continui a metterti le dita nel naso, ti verrà il naso di Bramóŋ”.
Si diceva ai più piccoli, per dissuaderli dal praticare uno degli sport
più cari ai bambini di tutto il mondo, in tutte le epoche.
Non è dato sapere chi fosse il leggendario Bramóŋ ma di sicuro
possiamo dedurre che non avesse un nasino alla francese.
Èt pulì bén lì sàli?
Hai pulito bene le sale?. In senso figurato, ha significato simile al
precedente con una buffa variante metaforica: le sale sono le narici.
Ma và a cagà ins’ i moi
Letteralmente sarebbe un “elegante invito” ad andare a fare i propri
bisogni sopra un tappeto di cilindretti scarto della sgranatura del mais.
Il senso effettivo è mandare a quel paese qualcuno.
Trì i càgan, e vóŋ al fà lüś
Quattro persone inutili. Volgare: tre la fanno e uno fa luce.
Al Signùr l’é gnì śò da cavàl par tö sö nà brìśa
Il Signore è sceso da cavallo per raccogliere una briciola. Invito, dal profondo
di una lunga tradizione di saggezza popolare, alla parsimonia, al non scialacquare,
né consumare nulla, nel nome della filosofia dal tégnar da càt, tener da conto,
risparmiare, mettere da parte in vista di un possibile riutilizzo. Nulla si deve sprecare.
A rìva al tempuràl, sénta che tróŋ! L’ é al diaùl c’ àl và in caròsa!
Arriva il temporale, senti che tuoni! È il diavolo in carrozza!
Si diceva ai bambini, per impressionarli e far in modo che stessero in casa
durante il maltempo, evitando di mettersi in pericolo, fra acqua, lampi o tempesta.
Cuānda al sùl l’ às vùlta indré, l’ àcua agh l’ óm ai pé
Quando il sole si volta indietro, l’acqua l’abbiamo ai piedi.
Antica forma di previsione meteo: una schiarita all’orizzonte,
verso sera, dopo una giornata di pioggia, sarebbe stata segnale
di un indomani ancora bagnato dal maltempo.
Curiosamente, questo detto è in pratica opposto all’italiano
Rosso di sera, bel tempo si spera.